Mi atterrò strettamente al tema di questa nostra riunione di Direzione perché
vorrei che la discussione si concentrasse sull’oggetto che abbiamo messo all’ordine
del giorno e che può essere sintetizzato così: come miglioriamo noi stessi e il fun-
zionamento della nostra vita associativa.
Avevo detto nell’ultima Direzione che avremmo lavorato per investire in diverse
direzioni sui risultati che abbiamo ottenuto. Una di queste è senz’altro il partito:
l’esigenza di migliorare noi stessi esiste e problemi da risolvere ne abbiamo ancora.
È chiaro – lo dico subito – che migliorare noi stessi vuol dire, prima di tutto, miglio-
rare la nostra politica, il nostro progetto, la nostra proposta nel confronto con i
problemi del Paese. E vuol dire creare nel vivo di questo confronto quel nucleo di
condivisione e di lealtà reciproca che è la sostanza vera della vita di un’associa-
zione.Ma certamente esistono anche i problemi – su questo adesso ci concentriamo
– che riguardano la struttura della vita associativa e che presentano aspetti che ci
suggeriscono una riflessione e un intervento.Vorrei anzitutto chiarire la proposta
che avanzo a proposito del percorso, ossia che cosa intendo quando parlo di con-
ferenza sul partito. Leviamoci dalla testa i modelli tradizionali: non è un paracon-
gresso, né una conferenza con i delegati, né altre cose simili.
Propongo invece un percorso aperto di discussione. Un percorso che parte con
la discussione di oggi. Entro una settimana allestiremo un sito dedicato a questa
Conferenza, che avrà diverse sezioni, una delle quali sarà costituita dai contributi
dei membri della Direzione, i quali potranno scegliere se pubblicare l’intervento di
oggi o piuttosto inviare un contributo scritto.
Dopo la Direzione di oggi, ci sarà poi nei prossimi giorni un incontro con i segre-
tari regionali. In questa fase, a partire dalla mia relazione introduttiva e dai contributi
dei membri della Direzione, si mette in moto, attraverso il coinvolgimento attivo
delle Unioni regionali, una discussione che avrà diversi canali: i circoli, il sito online
(sul quale militanti, simpatizzanti, critici e tutti quelli che vorranno intervenire po-
tranno far pervenire il loro contributo), le feste democratiche durante l’estate, nelle quali ci saranno finestre dedicate alla discussione sul tema del partito.
Il ritorno di questa discussione avverrà attraverso una selezione ragionata che
verrà fatta dagli organismi regionali e dalla segreteria nazionale, per poi tornare
nella Direzione, che formulerà una proposta di indirizzo per l’Assemblea, la quale
sarà chiamata a varare eventuali modifiche statutarie o, comunque, a fare un punto
finale.
Vedremo come questo percorso si affiancherà all’altro percorso che abbiamo in
moto, che è quello sul progetto. L’obiettivo è quello di chiudere per ottobre-no-
vembre. Questo è l’essenziale riguardo la proposta del metodo e del percorso.
Il Pd e la democrazia italiana
In questo avvio di discussione indicherò alcuni nodi problematici che dobbiamo
sciogliere, e suggerirò anche l’indirizzo con il quale affrontarli. È chiaro che altri
temi si presenteranno lungo il percorso, perché qui non farò l’elenco di tutti i pro-
blemi. Immagino anzi che la discussione segnalerà altri problemi e questioni da af-
frontare. Intendiamo discutere in forma aperta anche per questa ragione.
Il punto fondamentale che qui voglio rimarcare (anche se non vi dedicherò molte
parole perché ne abbiamo parlato altre volte) è quello da cui prendiamo le mosse
in questa discussione e che deve essere chiaro a tutti quelli che vi parteciperanno:
noi stiamo parlando della democrazia italiana.
In altre parole, il tema che noi svolgiamo ha un titolo preciso: che cosa si fa dopo
Berlusconi, dopo l’ubriacatura populista e personalista di questa povera democrazia
italiana. L’orizzonte è costituito, quindi, dal progetto di ricostruzione, dall’insieme
di riforme che devono riconsegnarci una democrazia rappresentativa riformata.
Dobbiamo ripartire da qui, ne abbiamo parlato altre volte, perché la premessa di
questa Conferenza, a cominciare appunto da come la impostiamo, è assolutamente
questa.
È in questo quadro di ricostruzione democratica del Paese che noi solleviamo una
discussione sui partiti e, quindi, sul nostro partito.
Noi dobbiamo sempre ricordare che abbiamo scelto di chiamarci Partito Demo-
cratico: in queste due parole – forse non ci avevamo pensato fino in fondo – c’è un
radicale programma per l’Italia. Non c’è nessun altra forza politica che si chiama
partito e in Italia la democrazia incontra problemi particolari.
Certo, la democrazia rappresentativa è in una fase di difficoltà in tutto il mondo,
perché, da un lato, i canali di partecipazione e di decisione non sono in grado di
affrontare i temi nuovi che hanno una dimensione sovranazionale, dall’altro, ci sono
esigenze di protagonismo diretto di movimenti e di singole istanze della società,
che non accettano di essere mediate oltre un certo limite.
Tuttavia, nessuna democrazia matura nel mondo ha rinunciato a una funzione
dei partiti, in nessun modo e da nessuna parte questa esigenza di protagonismo
diretto della società civile è diventata la strada per negare alla radice la funzione
delle forze politiche.
Noi sappiamo di avere avuto alle spalle una particolare vicenda italiana, ne ab-
biamo parlato tante volte. Non proponiamo peraltro riedizioni di esperienze passate:
sappiamo che per uscire dal populismo non basta dire “democrazia rappresenta-
tiva”, bisogna dire “riforma della democrazia rappresentativa”, ribadendo i temi sui
quali da tempo siamo impegnati. E, lo ripeto, tra questi temi c’è anche uno impor-
tante che riguarda i partiti.
Spero, ad esempio, che si riconoscerà che si sta poco a poco verificando quello
che avevamo intuito: nello zoppicare ormai evidente di Berlusconi e della sua area
di maggioranza è visibile la confusa ricerca di un modo per affrontare il problema,
recuperando una qualche forma-partito. Vedremo cosa faranno.
Non può sfuggirci che in tutto il sistema politico italiano ha prevalso una piega-
tura personalistica delle formazioni politiche, che, anche per ragioni naturali, non
potrà essere eterna. Il tema del rapporto tra leadership e collettivo è quindi il tema
di domani.
Se è così, pur con tutti i nostri problemi, abbiamo tre anni di vantaggio sugli altri.
Le esperienze buone o cattive che abbiamo fatto ci mettono su questo tema in pole
position. Bisogna allora che noi utilizziamo al meglio questo vantaggio, che cor-
reggiamo rapidamente i difetti e che così, avendo risolto un certo numero di que-
stioni aperte, ci attrezziamo meglio a svolgere il ruolo di primo partito di questo
Paese.
Questo deve essere l’orizzonte dell’impegno che affrontiamo con la Conferenza...
Che cosa intendo quando parlo di un moderno partito popolare e riformatore?
Intendo un partito di iscritti ed elettori, nazionale e autonomistico, unito e plurale,
laico ma non agnostico eticamente e culturalmente.
Un partito che, da un lato, riafferma con orgoglio l’autonomia e l’essenzialità
della politica, dall’altro, ne riconosce i limiti.
Un partito che mette insieme orgoglio e umiltà, che sa riconoscere i confini della
sua azione e si pone perciò il problema di avere strutturalmente un rapporto aperto
con la società, un rapporto cioè di affiancamento e collaborazione con movimenti
democratici e civici, che pretendono politicità senza per questo pretendere di sosti-
tuirsi alla politica.
Questo è il tema di domani, perché queste autonome soggettività di cui parliamo
vanno naturalmente condotte a non sfociare nell’anti-politica, ma resteranno un
dato strutturale della società di domani. Non possiamo pensare che siano fenomeni
passeggeri. Attraverso strumenti di formazione, di informazione e anche con l’au-
silio della rete bisogna quindi trovare un modo per rilegittimare la politica, affian-
candola a istanze e movimenti che sono ugualmente legittimi, ma che riconoscono
l’esigenza di una funzione unificante, che è quella della politica.
Se riusciamo a rappresentare la funzione del partito così, possiamo dirci un’altra
cosa politicamente impegnativa. Abbiamo tre anni e mezzo di vita. Lavorando così,
possiamo costruire un racconto condiviso: dove siamo arrivati è il risultato del lavoro
di tutti, è il frutto dell’aiuto e del contributo di tutti.
La grande avventura del Pd dovrà essere narrata in una evoluzione positiva, nella
quale tutti hanno dato una mano. Dobbiamo consegnare al futuro una storia con-
divisa della vicenda di questi anni.
Proprio per questo non intendo in nessun modo che questa discussione sia infi-
ciata o disturbata da preoccupazioni d’area o di corrente. Qui siamo nella nostra
ditta, nella quale si parla con libertà e senso di responsabilità. Ognuno dà il suo
contributo e alla fine insieme tireremo le somme.
Un partito di iscritti e di elettori
Veniamo a qualche tema specifico, sapendo che ne indicherò alcuni ma non tutti.
Per capire cosa intendo quando parlo di partito di iscritti e di elettori, propongo di
lasciarci alle spalle la discussione partito leggero-partito pesante. Il partito deve ga-
rantire di poter svolgere alcune funzioni essenziali, che sono quelle che ne giustifi-
cano l’esistenza.
Deve quindi essere attrezzato ad ascoltare e a confrontarsi con le istanze della
società, deve essere capace di un’elaborazione autonoma (deve cioè darsi dei canali
propri di elaborazione culturale e politica), deve avere un’organizzazione adeguata
a rendere praticabile e veicolabile la sua visione e il suo progetto, deve infine ga-
rantire formazione e selezione dei gruppi dirigenti. Queste sono le funzioni neces-
sarie ed indispensabili, che vanno svolte con il massimo grado di leggerezza e di
essenzialità.
Ci vuole un minimo di robustezza politico-organizzativa, che non contrasta af-
fatto con l’apertura all’esterno, anzi ne è la condizione. Non penso al partito dei
funzionari, ma a una formazione che abbia una stabilità strutturale e garantisca al-
cune professionalità specialistiche, ad esempio nel settore organizzazione e comu-
nicazione, con figure che, anche al livello territorialmente adeguato, siano in grado
di garantire continuativamente rapporti e iniziative verso l’esterno.
Per le funzioni politiche, noi non vogliamo essere un partito di funzionari.
Quando necessario e utile, si devono trovare per i ruoli politici forme di collabora-
zione che abbiano carattere di flessibilità e fluidità.
In un partito così la sovranità appartiene agli iscritti che, a mio giudizio, in diverse
essenziali e importanti occasioni, o per via statutaria o per via di decisione politica,
la rimettono agli elettori.
Ci sono materie e circostanze in cui il riconoscimento del ruolo degli iscritti è im-
prescindibile. Si pensi all’elezione degli organismi dirigenti territoriali. O a scelte
fondamentali di orientamento politico-programmatico, su cui è giusto valorizzare
uno strumento come il referendum degli iscritti. Questa esigenza l’abbiamo enun-
ciata varie volte, ma non l’abbiamo mai praticata.
Per esempio, potremmo sperimentarla alla fine di questo percorso della Confe-
renza sulle eventuali modifiche statutarie, chiamando gli iscritti a pronunciarsi con
un referendum.
Oppure si pensi alle nuove tecnologie. Potremmo, per esempio, studiare di col-
legare l’iscrizione al partito all’attribuzione di un codice personalizzato di accesso
a una rete di consultazione del partito, che possa aiutarci a sperimentare anche
nuove forme di democrazia telematica.
Ci sono invece occasioni in cui è opportuno e necessario che gli iscritti, nella
nuova logica di un partito che ho cercato di descrivere, trasferiscano la sovranità a
una platea più vasta, costituita dagli elettori del partito che accettano di dichiararsi
e registrarsi come tali.
Sapete quanto complesso sia il tema della registrazione, che può essere fatta in
modo flessibile o più rigido. Anche di questo dovremo discutere, ma il tema c’è. Il
trasferimento della sovranità agli elettori è necessario nel caso della scelta dei can-
didati per i vertici istituzionali.
È una scelta che, per le nostre responsabilità e le nostre dimensioni, non riguarda
solo il partito, ma investe le prospettive delle comunità locali. Le primarie sono fon-
damentali e preziose. Nella normalità dei casi, le primarie si sono rivelate in grado
di raccogliere e mobilitare attorno al PD e alla coalizione anche energie esterne ai
partiti.
Mettiamo fine a questa discussione che a volte ritorna: noi abbiamo il copyright na-
zionale ed europeo di questo strumento, non ce lo faremo portar via da nessuno!
Questo intendo quando dico di mettere in sicurezza le primarie: attenzione, uno
strumento così prezioso non può essere contraddetto nelle sue finalità.
Noi abbiamo sperimentato che le primarie si sono rivelate preziosissime quando
sono state interpretate come una risorsa della politica, sono state meno preziose
(uso un eufemismo) quando sono state concepire come una sorta di vincolo rego-
lamentare da brandire nello scontro interno.
In questi casi vi è stato un automatismo burocratico, che ha portato all’utilizza-
zione delle primarie solo per fini di parte.
Dobbiamo perciò valutare quale sia lo spazio politico necessario per individuare
i casi in cui non ci siano le condizioni per il ricorso a questo strumento. Lascio aperta
la discussione su questo punto, ponendo il problema e legandolo a un aspetto su
cui voglio invece dire una cosa più precisa. È chiaro che in questo meccanismo pos-
sono esserci talora elementi negativi o qualche volta perfino patologici; il punto è
che quando noi ci roviniamo da soli applicando male il meccanismo, roviniamo
anche la coalizione.
Quando parlo di responsabilità, non lo faccio solo per noi: se noi perdiamo un
Comune perché abbiamo impostato male le scelte, perdiamo un comune per tutto
il centrosinistra e vince la destra!
Penso che la scelta di spostare l’asse delle primarie verso la coalizione si sia dimo-
strata giusta e vincente. Adesso abbiamo il problema di individuare regole democrati-
che che impediscano di trasformare, come in qualche caso è avvenuto, le primarie di
coalizione per i vertici istituzionali locali in una resa dei conti interna al Pd.
Pongo il tema di meccanismi che favoriscano, magari senza imporla rigidamente,
l’univocità della presenza del PD nelle primarie di coalizione. Valutiamo di alzare la
soglia di presentazione delle candidature espressione del partito, oppure di indivi-
duare dei meccanismi di deroga a rispetto alla regola di un solo candidato del PD
nelle primarie di coalizione.
Chiedo un aiuto per trovare una soluzione su questo tema, perché questo, all’atto
pratico, si è rivelato il punto si cui si è innestato il problema di cui dicevo, cioè lo
svilimento delle primarie in una diatriba interna. Per questa ragione chiedo che sul
punto la discussione indichi una soluzione.
Ribadisco che, a mio giudizio, l’apertura agli elettori è una risorsa da salvaguar-
dare anche per l’elezione del segretario nazionale del Partito Democratico. Sia per
la sua funzione di rappresentanza generale che per la sua esposizione esterna, è
una responsabilità che non può essere intesa come rivolta solo al corpo degli iscritti,
perché poi vive quotidianamente sotto i riflettori di una battaglia che coinvolge
l’opinione pubblica nazionale, e perché può avere dei tratti unificanti in un Paese
che di questo ha assolutamente bisogno.
Per quel che riguarda la selezione dei candidati al Parlamento, noi abbiamo un
nostro progetto di riforma elettorale. C’è in corso un’iniziativa referendaria, di cui
troveremo il modo di discutere, ma è chiaro che noi abbiamo la nostra proposta.
Possiamo dire che tutto ciò che mette in discussione il Porcellum e apre uno spazio
per una discussione parlamentare di riforma può essere utile, ma noi abbiamo la
nostra proposta.
In presenza del Porcellum, noi siamo di fronte a una questione che è emersa in
maniera assolutamente evidente negli ultimi mesi. C’è una spinta enorme alla par-
tecipazione - i referendum, le amministrative, la piazza di Milano – e ci troviamo di
fronte all’imbuto di una legge elettorale che costringe alla nomina dei parlamentari.
Questa legge è talmente in contropelo rispetto alle esigenze di partecipazione,
che qui davvero può profilarsi una situazione dove rischia di “piovere per tutti”.
Quindi noi dobbiamo affrontare il tema, tenendo presenti le implicazioni di ciò che
facciamo. Stiamo parlando della composizione di gruppi parlamentari che devono
garantire la rappresentanza di genere, i territori, il pluralismo, le competenze e
l’apertura all’esterno. Noi dobbiamo ribadire e combinare queste esigenze, per in-
serirle però in un quadro di partecipazione.
Mi limito a dire che, nel caso in cui rimanga in vigore questa legge elettorale, noi
dovremo trovare delle forme che tengano conto anche delle diverse articolazioni
territoriali. Ad esempio, abbiamo le Unioni regionali di cui avvalerci. Noi possiamo
quindi dare dei criteri di indirizzo, secondo uno schema per cui una parte fonda-
mentale delle scelte vengono rimesse agli iscritti, senza escludere (in particolare per
quelle regioni che siano in grado di farlo) iniziative di ulteriore ampliamento dei
meccanismi di partecipazione.
Non scendo ulteriormente nei dettagli, limitandomi dunque a un indirizzo che
garantisca la partecipazione a partire dagli iscritti (senza escludere forme più larghe
laddove a livello regionale le condizioni politiche e regolamentari lo consentano) e
che assicuri quegli elementi di unitarietà imprescindibili per i gruppi parlamentari.
Un partito nazionale e autonomista
Il secondo grande tema è costituito, a mio giudizio, dalla dimensione nazionale
e autonomista del partito. Noi abbiamo una certa idea dell’Italia, siamo patrioti e
autonomisti, e abbiamo una certa idea di federalismo, fondata sulla nostra cultura.
La nostra cultura dell’autonomismo è una risorsa preziosissima se collegata alla no-
stra vocazione patriottica. Come partito federale, noi abbiamo cominciato negli ul-
timi anni a dare più risorse e strumenti alle organizzazioni territoriali. Siamo
convintissimi che un partito non si rimette in piedi puntando solo sul trascinamento
dei leader o sulle campagne nazionali.
Per questo dobbiamo rafforzare l’autonoma responsabilità economica, organiz-
zativa e politica dei nostri livelli territoriali.
Qui c’è il punto di come questa rappresentanza territoriale trovi diretta espres-
sione negli organi dirigenti nazionali. Propongo con grande convinzione il principio
per cui una quota consistente – io direi fino alla metà – degli organismi ad ogni li-
vello (nazionale, regionale e provinciale) debba essere espressa direttamente dalle
organizzazioni dell’ambito territoriale sottostante.
Questo perché tale meccanismo di rafforzamento delle rappresentanze locali an-
cora il dibattito politico alla concretezza del radicamento territoriale, corresponsa-
bilizza i territori nella dimensione nazionale, diventa una leva di promozione e di
selezione di quadri validi che, se rimangono chiusi in una dimensione localistica,
non possono alzare lo sguardo. Partecipare al lavoro di direzione a un livello più
ampio è un elemento formativo per eccellenza.
L’applicazione di questo principio può inoltre essere un meccanismo correttivo
(non risolutivo, ma correttivo sì) dell’eccesso di verticalizzazione correntizia, perché,
in fin dei conti, se un circolo deve mandare qualcuno alla direzione provinciale, me-
diamente sceglie il giovane che ha voglia di andarci e che è ritenuto capace.
Se la decisione la prendiamo da Roma, non è detto che sia così. Su questo sono
interessato a discutere seriamente, è un punto essenziale. È chiaro che non si risol-
vono le cose dall’oggi al domani, ma si può mettere in moto un processo di cam-
biamento positivo.
Vi è poi il tema del rapporto tra partito e amministratori locali. Abbiamo appro-
vato recentemente il regolamento per la buona condotta degli amministratori locali.
È uno strumento importante, perché consente di dire all’amministratore locale: «Ri-
spondi ai cittadini, però sei nel PD. Noi rispettiamo la tua autonomia e non ci inte-
ressa dirti chi sono gli assessori, per noi le regole essenziali sono correttezza,
trasparenza, rigore».
Riguardo l’aspetto politico, il problema è come, nelle condizioni date, si garan-
tisce l’autonomia degli amministratori e insieme si valorizza il patrimonio di affida-
bilità e di fiducia che tanti di loro esprimono e che li rende una risorsa fondamentale.
Ribadita l’autonomia dei vertici istituzionali rispetto alle scelte gestionali, occorre
una comunicazione più stretta nell’indirizzo politico e amministrativo per uscire
dall’eterno dilemma: il partito si lamenta del disinteresse del sindaco e il sindaco
del fatto che nessuno gli dia una mano. È una storia antica, non nasce certo oggi.
Qui bisogna dire agli amministratori: noi non entriamo nelle vicende gestionali, però
una volta l’anno (arriverei a prevederlo anche statutariamente) si tiene una confe-
renza programmatica organizzata dal partito sulle prospettive amministrative.
Può essere questo o un altro meccanismo, ma cerchiamo di trovare una solu-
zione. Inoltre, il meccanismo di cui ho detto, che prevede organismi costruiti per
una buona parte su base territoriale, può essere anche il veicolo per mettere di più
alla prova della direzione politica esperienze amministrative. Mi pare che anche que-
sto possa essere utile.
Se noi costruiamo un’architettura del partito a forte base territoriale, possiamo
tranquillizzare su un altro punto cardine, ossia sulla necessità di rafforzare le fun-
zioni centrali del partito. Se davvero vogliamo il partito federale, dobbiamo farlo
con funzioni centrali che siano adeguate. In nome di che cosa? Della proprietà in-
divisa, ossia del marchio, della ditta, che, se viene danneggiata in un luogo, viene
danneggiata dappertutto.
Se costruiamo degli organismi nazionali nei quali ci sia anche la presenza forte
dei territori, lì si possono condividere anche decisioni di intervento che siano più in-
cisive di quelle che abbiamo oggi. Naturalmente mi riferisco a casi-limite, come
quelli che possono riguardare il mancato rispetto del Codice etico (che deve essere
invece sempre esigibile), questioni programmatiche dirimenti, o anche questioni di
candidature e alleanze che possono mettere in discussione la credibilità di fondo
del partito.
In queste circostanze, credo che bisogna prevedere per gli organi nazionali la
possibilità di intervenire e anche, nei casi-limite, di avocare la decisione ultima.
A proposito dell’autonomia dei livelli territoriali, bisogna affrontare il tema della
modalità di elezione dei segretari regionali, che intendo rimettere alla discussione.
Abbiamo avuto l’esperienza dell’agganciamento dell’elezione dei segretari regio-
nali al meccanismo delle primarie per il segretario nazionale. Questa soluzione a
me non pare coerente, in quanto stride con l’impostazione per la quale i livelli ter-
ritoriali devono avere la possibilità di un confronto politico autonomo.
I livelli regionali sono rimasti schiacciati: un po’ di filiere verticali, un po’ di soste-
gno di liste locali, il tutto dentro una discussione molto nazionale. Proporrei lo sgan-
ciamento temporale dei congressi regionali rispetto alle primarie per il segretario
nazionale.
A questo punto si pone però un altro problema: finché c’è l’aggancio alla di-
mensione nazionale, si può pensare di fare le primarie per il segretario regionale,
ma, se non è così, comincia a essere più complicato, in quanto diventa concreto il
rischio di una burocratizzazione delle primarie. Discutiamone comunque: a mio giu-
dizio, il punto di fondo è se scollegare il percorso regionale da quello nazionale. Se
si propende per questa ipotesi, a me pare più logico restituire agli iscritti la scelta
del segretario regionale.
Un partito plurale e unitario
Ho detto in più occasioni che non vogliamo un partito con stanze o appartamenti
separati, ma che la ricetta che prepariamo deve comunque lasciar trapelare gli in-
gredienti diversi, ossia i diversi filoni e le differenti sensibilità. Ho accennato prima
che un diverso rapporto tra centro e territori può contribuire a evitare la piegatura
delle aree culturali verso esiti correntizi verticali.
Dobbiamo incoraggiare la fisionomia politico-culturale delle aree, facendo di que-
sto un asse del partito. Discutiamone quindi, io guardo con un certo favore quando
le aree promuovono iniziative culturali, di approfondimento e di ricerca.
Mi pongo e pongo il problema, se questa è la dimensione e la prospettiva, di ve-
rificare come poi il partito si attrezza per una sintesi utile di questi apporti culturali.
Tra le funzioni strutturali di un partito a livello nazionale (e probabilmente non solo
a questo livello) c’è quella di un ufficio studi o di qualcosa di analogo, nel quale nel
rapporto con tutte queste varie realtà si riconfigurano anche punti di sintesi, temi
di relazione, specializzazioni nell’approfondimento dei temi.
Dall’altro lato, io rafforzerei la dimensione e il ruolo dei territori, man mano che
cambiano i protagonisti e si impongono le nuove generazioni, alle quali non pos-
siamo certo consegnare gli schemi di una volta. Dobbiamo incoraggiare largamente
processo di de-verticalizzazione. Le correnti verticali non sono l’architettura del par-
tito del futuro.
Una volta che ci siamo intesi su questo, il pluralismo culturale deve essere difeso
e valorizzato, perché è la nostra ricchezza. Vorrei che, nel corso della nostra discus-
sione, approfondissimo la ricerca di questo punto di equilibrio: come rafforzare il
profilo politico-culturale del pluralismo, evitando la verticalizzazione correntizia.
Questo è necessario anche perché ho in testa un partito -l’ho anticipato prima-
laico ma non agnostico sui temi etici, sui grandi temi culturali, sulle nuove frontiere
delle scelte etico-morali. Qui si colloca il tema di come ci accostiamo a temi nuovi
e delicati. Ribadisco che noi dobbiamo riconoscere il diritto all’appello alla coscienza
come elemento irrinunciabile, che deve però essere collocato a valle di un processo
di discussione, di affidamento reciproco, che muove dalla consapevolezza che tutti
noi siamo nel partito per prendere decisioni in nome del bene comune. Questo ci
vincola a ragionare, anche quanto proponiamo leggi, considerando la coscienza di
tutti.
Ritengo quindi che (se ne parla sempre per questi casi, ma non riguarda solo
questi casi) che i gruppi parlamentari e consiliari del partito debbano darsi regole
di solidarietà e di disciplina interna: non esiste per nessuno il vincolo di mandato, e
tuttavia l’appartenenza a un gruppo è una scelta, che presuppone l’accettazione di
regole condivise.
Queste regole devono naturalmente prevedere la possibilità del voto di coscienza,
ma inserendolo in un quadro di valorizzazione della ricerca comune delle soluzioni
ed evitando che l’appello al voto di coscienza sia banalizzato. Non entro nei parti-
colari, ma le forme possono essere trovate.
L’importante è che abbiamo chiaro il punto politico fondamentale. Quando dico
che non siamo agnostici, intendo che dobbiamo sempre ricordare che il centrosini-
stra non è il centrodestra, il che significa non possiamo rappresentare il nostro
mondo mettendoci nel relativismo più totale riguardo i temi cruciali.
Abbiamo su questi temi un’altra pelle, più sottile. La nostra gente è diversa,
chiede sempre un forte riferimento di senso e di valore. Noi dobbiamo trovare il
modo di mettere in valore la ricchezza e la forza di convinzioni etiche e religiose,
per trovare poi una nostra piattaforma di cultura politica, naturalmente praticando
l’autonomia della politica. Autonomia significa che la politica deve mettersi nella
condizione di poter decidere per tutti, rivendicano il suo ruolo di mediazione tra
principi e norme.
L'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione e i costi della politica
Nel nostro percorso, affrontando il tema della trasparenza e dei costi della poli-
tica, non possiamo eludere la questione di una legge di attuazione dell’art. 49 della
Costituzione. Capisco le controindicazioni, il rischio di fossilizzare e irrigidire la vita
interna dei partiti. Ma se vogliamo dire più chiaramente che per noi la necessità dei
partiti non significa il ritorno ai difetti dei vecchi partiti, credo che l’attuazione del-
l’art. 49 ci dia una bella occasione.
Ci sono già proposte in Parlamento, discutiamone a partire dal principio che un
partito, per assolvere la funzione costituzionale, deve garantire trasparenza e mec-
canismi democratici di partecipazione. In questo quadro, possiamo vedere che cosa
significa ribadire una posizione forte sul tema dei costi della politica. Facciamo at-
tenzione su questo, perché ovunque si discute dei costi della politica e noi abbiamo
il dovere di mettere un argine a una possibile deriva verso l’antipolitica e la pluto-
crazia.
La mia proposta è di individuare una soglia europea, verificando, ad esempio,
quanto si spenda in Germania o in Francia per i partiti, per i parlamentari e quali
siano gli istituti che non coincidono (ad esempio, i vitalizi da abolire). Non accet-
tiamo derive di antipolitica, attestiamoci su una posizione e combattiamo, rivendi-
cando però criteri di sobrietà. Non ci sono solo le questioni che riguardano la
pubblica amministrazione, le riforme istituzionali e la riduzione del numero dei par-
lamentari.
Abbiamo certo altri aspetti da considerare: i superstipendi dei manager, la fiscalità
a carico delle imprese che danno buonuscite esagerate e altro ancora. Detto questo,
non possiamo non guardare ciò che riguarda direttamente la politica.
Questa impostazione deve coinvolgerci tutti, PD nazionale e livelli regionali, per-
ché noi abbiamo un problema specifico che riguarda proprio la dimensione regio-
nale. È una questione seria, bisogna che ci impegniamo a fondo su questo. Anche
in quest’ottica, occorre garantire che il partito in quanto tale abbia una sua auto-
nomia gestionale e organizzativa rispetto a funzioni istituzionali che hanno accu-
mulato, nel corso di varie legislazioni, un potere di apparati e di risorse che alla fine
sbilancia qualsiasi equilibrio. Non va bene, questa situazione non è salutare per nes-
suno, né per le funzioni istituzionali, né per il partito.
Procediamo quindi con determinazione e senza cadere nell’antipolitica, ricor-
dando che ci sono anche realtà come quella dei sindaci di Comuni sotto i 30 mila
abitanti, il cui trattamento è palesemente inadeguato. In questi casi si tratta invece
di correggere per dare una mano in più.
Formazione, comunicazione, progetto
Un ulteriore aspetto riguarda la formazione e la comunicazione. Diciamo intanto
che sulla rete siamo presenti più di quanto si dica e più di altri. Riguardo l’uso della
rete voglio dire due cose: non siamo interessati ai meccanismi autoreferenziali della
rete, siamo invece interessati alla rete come potentissimo strumento di critica e di
aggancio alla realtà.
La sua potenzialità risiede proprio in questo, come grande strumento di connes-
sione con la fisicità, la materialità dell’azione politica. Quando portiamo l’esempio
di Obama, in fondo ci riferiamo a questo.
Internet non sostituisce, anzi alimenta una dimensione comunitaria reale. In que-
sto senso, sulla rete possiamo fare di più. Nel corso di questa Conferenza cerche-
remo anche idee nuove: come abbiamo i volontari per fare le feste democratiche,
così noi dovremmo avere dei volontari della rete, perché la rete è un luogo cruciale
di critica della realtà e di combattimento politico-culturale.
Intendiamoci, in molti casi saranno gli stessi che fanno le feste, perché noi ab-
biamo anche una generazione di giovani che partecipa alle feste. Non sto affatto
parlando di due categorie distinte, sto dicendo che dobbiamo mantenere attivi en-
trambi i canali.
Credo che abbiamo risorse partecipative enormi da attivare. Mi riferisco anzitutto
alle feste democratiche: non dobbiamo mai sottovalutare l’importanza di questi ap-
puntamenti. Proverei anzi a raccogliere idee su come non limitare questi aspetti co-
municazione popolare solo alla festa annuale e come trovare anche durante l’anno
dei modi più rapidi e semplici per organizzare un’iniziativa culturale o un momento
di ritrovo popolare.
L’obbiettivo deve essere quello arricchire l’iniziativa politica con momenti comu-
nicativi e comunitari durante l’intero corso dell’anno.
Il terreno della formazione politica è per noi cruciale. Dobbiamo mettere a sintesi
le iniziative interessanti che abbiamo già realizzato. In più, abbiamo ora un nuovo
tassello molto importante: un grande progetto di formazione e mobilitazione di
duemila giovani delle regioni meridionali.
Non entro nei dettagli, anticipo solo che sarà una sperimentazione, un modo per
costruire un meccanismo di circolazione politica interna fra giovani già impegnati
nel Mezzogiorno nella battaglia politica e amministrativa.
Non ho bisogno di aggiungere quanto sia cruciale questo tema del Sud, anche
se certo nel Sud non tutte le realtà sono uguali. Ruolo dei territori e selezione delle
migliori esperienze negli organismi dirigenti nazionali; funzione più incisiva del cen-
tro; formazione: sono tre leve anche per affrontare le situazioni in cui c’è da rico-
struire daccapo, perché noi abbiamo situazioni in cui c’è da ricostruire daccapo.
Tutto questo però non può avvenire (lo vedremo meglio affrontando il progetto)
senza una nuova piattaforma culturale, politica e programmatica per il Mezzo-
giorno. Se vogliamo costruire nuove classi dirigenti, non possiamo che farlo impu-
gnando una nuova linea politica e una nuova idea del Mezzogiorno. È evidente,
quindi, che c’è una questione di contenuti.
Riguardo la pari dignità femminile, la conferenza delle donne Pd, che si sta pro-
gressivamente strutturando, può esserci d’aiuto non solo come elemento di spe-
cializzazione dell’iniziativa, ma per imporre questa questione come un tema
generale di battaglia politica nel Paese. Va benissimo la parità negli organismi diri-
genti, ma insisto sempre nel dire che dobbiamo sempre farci percepire all’esterno
come quelli che la parità la vogliono anche fuori. Non possiamo fare la società per-
fetto in un partito solo, su questo occorre che rafforziamo il messaggio esterno.
Facciamo attenzione a quel che sta succedendo nel Paese: il movimento civico
che si è manifestato alle amministrative era strapieno di donne. È quasi una tauto-
logia dire: si muove una spinta civica, si muove la società, si muovono le donne. E
vorrei far notare che, se si guarda la composizione delle nuove giunte, stavolta,
senza tanti conflitti, la parità di genere ha trovato un riconoscimento piuttosto dif-
fuso. Ritengo che non sia un passo da poco, proprio perché collegato a una vittoria
e a un cambio di fase.
Propongo di inserire nella discussione anche il tema delle nuove generazioni. I
giovani devono potersi misurare sempre di più con responsabilità di direzione poli-
tica. Ne abbiamo tanti in giro. Abbiamo bisogno di portarli a sperimentare compiti
di direzione a livelli superiori, perché non vengano fuori rinnovamenti estemporanei.
Il rinnovamento è una cosa seria e dovrebbe essere uno dei compiti fondamentali
di ogni leader e di ogni gruppo dirigente quello di promuovere la presenza delle
nuove generazioni.
Qui c’è una missione specifica dell’organizzazione giovanile, che io definirei in
questi termini: dare una mano perché una parte di tutto quello che si sta muovendo
nel mondo giovanile possa indirizzarsi verso l’impegno politico. A mio giudizio, il
compito principale dei giovani democratici potrebbe essere quello di stimolare
quelle energie in circolazione nelle università, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, in-
teressate o anche solo incuriosite dall’impegno politico.
Poi si vedrà come la pensano, però l’obiettivo prioritario deve essere quello di in-
coraggiare a un impegno politico quei protagonismi e quelle energie giovanili che
sorgono su un terreno parziale e che poi purtroppo spesso non riescono a superare
questa parzialità.
Ci siamo definiti il partito del lavoro, del lavoro non solo dipendente, ma impren-
ditoriale, autonomo, professionale, artistico. Possiamo anche qui esaminare la pos-
sibilità che sul tema del lavoro il partito organizzi un appuntamento annuale di
riflessione e approfondimento. Faccio notare che Berlusconi, nell’ultimo intervento
parlamentare, ha parlato per un’ora e non mai ha pronunciato la parola ‘lavoro’. È
una cosa impressionante, che però ci dice anche che quanto spazio ci sia per un
partito che davvero voglia sviluppare fino in fondo questa chiave.
Infine, possiamo discutere anche di come abbiamo organizzato le strutture cen-
trali e regionali. Anticipo un mio giudizio di sintesi: le strutture dipartimentali e di
forum non funzionano tutte allo stesso modo, però quelle che funzionano ci hanno
consentito di riprendere rapporti con mondi e realtà importanti, di fare elabora-
zione, di essere presenti. Insomma, se ce n’è qualcuna che funziona, vuol dire che
anche le altre possono funzionare. Su questo io non avanzo perciò proposte di mo-
difiche strutturali, piuttosto intensificherei e formalizzerei di più una prassi che in
parte già esiste: il lavoro comune fra dipartimenti, forum, gruppi parlamentari e
gruppi consiliari regionali.
C’è da rafforzare, in particolare, la collaborazione con il nostro gruppo europeo.
In realtà, la politica europea è ormai politica domestica, nazionale, non è più parte
della politica internazionale. Facciamo veramente fatica a digerire questa novità, sia
come sistema istituzionale, sia come partito. Su questo valuterei anche di introdurre
un correttivo formale nella nostra struttura interna, per sottolineare questo cam-
biamento.
Siccome siamo partito di progetto, tutto quanto ho detto è naturalmente l’inte-
laiatura dell’elaborazione programmatica e delle battaglie politiche. Non mi sfugge
che dobbiamo perfezionare anche il nostro modo originale di costruire progetto e
proposte, anche se siamo arrivati già a un certo punto. Concluderemo entro fine
anno il lavoro sul progetto, sviluppatosi con il contributo dei forum e le riunioni
dell’Assemblea nazionale.
A me pare che questo lavoro abbia funzionato. Forse un difetto o, comunque,
un limite si manifesta riguardo la ricaduta di questa elaborazione programmatica
nelle dimensioni territoriali, dal livello regionale a seguire, un grande limite nella
diffusione di ciò che elaboriamo.
Forse a questo problema non si ovvia solo con rimedi organizzativi, ma provando
a rafforzare già nella fase ascendente, quella di costruzione iniziale delle proposte,
il coinvolgimento delle dimensioni regionali e locali.
In conclusione, apriamo oggi un percorso inedito nelle esperienze della politica
italiana e non solo italiana. La nostra Conferenza avverrà all'aria aperta, ricercando
contributi in modo largo e coinvolgente e aiutandoci così a trasmettere, anche per
via di metodo, un tratto della nostra identità.
lunedì 17 ottobre 2011
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